Quest’anno Pordenonelegge ha portato in città un amatissimo autore spagnolo nonché il più famoso narratore della Barcellona storica, a cui ho avuto l’onore di porre qualche domanda: l’avvocato-scrittore Ildefonso Falcones, accompagnato dalla splendida interprete Rossana Ottolini, (già ospite del blog e di TradPro2019). L’autore presentava il suo ultimo lavoro, Il pittore di anime (Longanesi), un affresco della Barcellona di inizio Novecento, in cui la bellezza innovatrice del Modernismo fa da cornice alle misere condizioni di vita di buona parte della popolazione.
In attesa di scoprire questo nuovo capitolo della storia della città, sempre più vicino a noi nel tempo, una delle prime domande a Falcones è stata quella che tutti i suoi lettori si pongono: quando arriverà a raccontare la Barcellona attuale? Lui si è schermito rispondendo che, in un’epoca come la nostra, per uno scrittore raccontare l’attualità è molto difficile, perché ha la “concorrenza” imbattibile dei giornali, della televisione, di Internet… e inoltre serve una certa distanza per valutare i fatti e vederli in maniera oggettiva, soprattutto nella Catalogna conflittuale di oggi. Notandolo piuttosto scosso riguardo il tema (come già Javier Cercas pochi giorni prima), e complice l’atmosfera molto intima della sala stampa, ho provato a cogliere la palla al balzo e a porgli la mia prima domanda:
Il fatto che lei non scriva in catalano e non lo parli le crea qualche problema nella Catalogna di oggi?
La sua risposta è stata piuttosto veemente, segno che i fatti del 2017 sono stati davvero uno spartiacque per i catalani:
Certo che mi crea dei problemi, me ne crea moltissimi. Io non sono considerato uno scrittore catalano: basti pensare che al Salone del Libro di Parigi 2013 Barcellona era la città ospite e io non sono stato nemmeno segnalato, pur avendo scritto così tanto sulla città. Oggi Barcellona si sta sempre più chiudendo in se stessa, ed è una contraddizione enorme, perché deve la sua bellezza, e anche la sua ricchezza, la sua opulenza, all’apertura e agli scambi con gli altri. Stiamo tornando indietro, ed è qualcosa di terribile. Personalmente però non me la prendo, finché ho la possibilità di uscire dai suoi confini ideologicamente ristretti e di parlare dei miei libri altrove, come qui con voi oggi.
La seconda domanda, come già immaginerete, non poteva che riguardare il rapporto con i suoi traduttori. Anche in questo caso ha dato una risposta molto convinta e convincente:
Ho un rapporto ottimo con i miei traduttori; non con tutti è stretto, naturalmente, ma con molti di loro ho una fitta corrispondenza per sciogliere dubbi o quant’altro. Per me i traduttori sono preziosissimi, perché sono lettori molto attenti, precisi e scrupolosi: più di una volta sono stati loro a farmi notare sviste o incongruenze nel testo e a spingermi a correggerle. Fanno davvero un lavoro impareggiabile, in tutto il mondo, e provo grande stima per loro.
Alla richiesta di raccontare un aneddoto sull’argomento, mi ha lasciata con un piccolo giallo da risolvere:
Una volta mi ha contattato il traduttore in una lingua dell’Est Europa, non ricordo bene quale… forse il serbo? Be’, mi ha detto che era in grossa difficoltà perché nella sua lingua non esiste il termine “zio” e quindi non sapeva come tradurlo. Abbiamo provato a ragionare un po’ insieme su quale fosse la scelta migliore, ma alla fine ho dovuto dirgli di decidere da solo, perché non sapevo proprio come uscirne. E credo che alla fine sia andato tutto bene, perchè non mi sono giunte rimostranze da quelle parti!
Da allora mi arrovello: in quale lingua europea non esiste il termine “zio”? Aiutatemi a scoprirlo! Infine, ha risposto alla domanda di un giornalista che mi è sembrata molto interessante: cosa pensa della serie TV tratta dal suo La cattedrale del mare (Netflix)?
In questo caso sono molto contento del risultato, ma comunque in generale lascio che gli adattatori facciano le loro scelte liberamente: nel momento in cui cedo i diritti sono consapevole che ci sarà una trasposizione da un mezzo a un altro, dalla carta all’audiovisivo, quindi è inevitabile che debbano essere operate delle modifiche. Sono altri artisti a fare gli adattamenti e io non mi sento in diritto di criticare il loro lavoro, purché venga rispettato lo spirito dell’opera. E se per farlo è più efficace fare dei cambiamenti, ben venga.
Questa risposta ha denotato una grande umiltà e un rispetto per il lavoro altrui che forse non mi aspettavo da uno scrittore di questo successo. E voi cosa ne pensate?
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Ciao Eleonora,
con questi meravigliosi articoli ricchi di emozioni, aneddoti ed esperienze personali ci trasporti davvero all’interno della fantastica “febbre gialla” che assale Pordenone!!
Mi suggeriscono che in croato non vi è un unico termine per “zio”, bensì quattro ovvero due per designare rispettivamente lo zio e la zia materni e altri due per indicare lo zio e la zia paterni.
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Grazie mille Giada!
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