Leonardo G. Luccone è la perfetta incarnazione della versatilità del traduttore: oltre a regalarci la voce di grandi autori, da John Cheever a F. Scott Fitzgerald, è anche imprenditore (è titolare dello studio editoriale e agenzia letteraria Oblique), scrittore, insegnante e molto altro. La sua è una vera e propria vita tra le parole… un po’ come quella piccola entità di cui ci parlerà a TradPro2020, spesso maltrattata, dimenticata, fraintesa: la punteggiatura, così necessaria in tutti i campi della scrittura ma oggi forse più che mai sull’orlo di una “crisi d’identità”.
Oggi sei uno dei fortunati che vivono costantemente tra le parole, perciò siamo curiosi: com’è nata la tua passione per la traduzione e la scrittura? E quale percorso hai fatto nella tua formazione?
Tutti vivono tra le parole. Se sia una fortuna lavorare con le parole non so dirti perché il discorso diventerebbe noioso. Penso che tutti debbano lavorare con le proprie parole; insieme alla sagoma della nostra persona, al modo di fare, al timbro della voce sono la cosa che ci descrive di più, che ci rende o meno riconoscibili. Di parole ne produciamo migliaia al giorno, tutti, nei contesti più vari. Con la smaterializzazione della scrittura assistiamo a un decadimento della cura che si destina allo scrivere. Viviamo in un mondo inondato dalle parole, ormai pure i motori di ricerca si sono stancati.
Il mio percorso è semplice: studi sia scientifici sia letterari, casa piena di libri – questa sì, è una fortuna –, tanta curiosità per i mestieri editoriali e un amore innato per la nascita delle storie. Già da adolescente leggevo i primi vagiti letterari dei miei amici. Ho iniziato nel 1995 a fare i primi lavoretti in editoria e posso dire di essermi cimentato in tutti i ruoli, perfino come aiuto tipografo.
Tra le molte altre cose, sei titolare dello studio editoriale e agenzia letteraria Oblique. Come mai hai deciso di fondarla e cosa ti ispira e ti motiva di più in questo aspetto del tuo lavoro?
Oblique per me è al centro di tutto. Nel 2005 mi ero stufato di lavorare da solo. Volevo costruire una comunità. L’obiettivo è rendere l’editoria libraria un posto migliore. Traggo ispirazione dai grandi maestri: Aldo Manuzio, Kurt Wolff, Bobi Bazlen, Franco Maria Ricci, per citarne giusto qualcuno.
Il tuo intervento a TradPro2020 si intitola Punteggiare rapido e accorto: la traduzione delle emozioni, che prende le mosse dal tuo libro Questione di virgole (Laterza, 2018). Perché è così importante il ruolo della punteggiatura, proprio oggi che viene costantemente reinventata e spesso trascurata dai social (e non solo)?
La punteggiatura è una spia di qualcosa più grande. La punteggiatura rivela l’organizzazione del discorso (e quindi la chiarezza delle idee), ci dà la possibilità di capire la spinta emozionale di un testo; è una scrittura parallela che si aggrappa, per sostenerla, alla scrittura alfabetica. Se ci si pensa il ricorso alle emoticon è parente stretto della punteggiatura: entra di fatto nell’universo dei segni paragrafematici.
Concordo sul fatto che della punteggiatura non se ne occupa più nessuno: è trascurata a scuola, normalizzata nella scrittura giornalistica e perfino in quella saggistica e letteraria. Ci siamo ridotti a pochi segni tuttofare.
È da poco uscito il tuo primo romanzo, La casa mangia le parole (Ponte alle Grazie, 2019). Da dove nasce l’esigenza di scrivere un romanzo tuo, dopo aver tradotto le voci di grandi autori? E quanto ha influito la tua esperienza di traduttore nella tua scrittura?
Tutte le forme di scrittura sono traduzione di qualcosa. Tradurre – e quindi essere testa pensante al servizio di uno scritto e di un autore – mi ha trasmesso una forma sacrale di rispetto nei confronti della composizione. Quando hai concluso una traduzione ne esci con la consapevolezza di non aver fatto abbastanza, di non aver riprodotto l’intenzione, il suono, il tessuto in modo impeccabile. Su quello scarto, che vorresti ridurre più possibile, costruisci il tuo piccolo trampolino di scrittore. Se c’è qualcosa di buono nella mia scrittura lo devo agli autori che ho accompagnato in italiano, lo devo ai traduttori che ho revisionato. In questi anni ho avuto l’onore di lavorare sui testi di Sergio Claudio Perroni, semplicemente il più bravo e sensibile degli editor e degli scrittori. Quando entri così a fondo nell’architettura testuale di uno scrittore di questa portata ne esci rafforzato.
Vorrei concludere chiedendoti di dare un consiglio a tutti i nostri lettori e ai partecipanti a TradPro2020: secondo la tua esperienza, quale faro dovrebbe guidare sempre un traduttore, qualunque sia la sua specialità?
L’umiltà, la dedizione, la pazienza. È una vocazione, non è un mestiere. Se non c’è la vocina dentro è meglio stare alla larga da questo baraccone chiamato «fare i libri».
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Leonardo G. Luccone ha tradotto e curato volumi di scrittori angloamericani come John Cheever e F. Scott Fitzgerald. Ha diretto la narrativa delle edizioni Nutrimenti e la casa editrice 66thand2nd, e nel 2005 ha fondato lo studio editoriale e agenzia letteraria Oblique. Nel 2018 ha pubblicato Questione di virgole (Laterza), vincitore del Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica Giancarlo Dosi, e nel 2019 il suo primo romanzo, La casa mangia le parole (Ponte alle Grazie). Scrive di letteratura su la Repubblica.