L’ospite che stiamo per conoscere lavora al tempo stesso in prima fila e dietro le quinte; chi ama i festival letterari e gli autori ispanofoni di certo sa chi è, anche se il suo nome non viene mai pronunciato. Avete capito di chi sto parlando? Sicuramente sì, perché Rossana Ottolini presta la voce agli autori più importanti del panorama editoriale attuale; un lavoro da sogno per molti, sebbene lei abbia confessato di invidiare spesso e volentieri noi traduttori seduti alla scrivania! Personalmente, avevo avuto modo di vederla all’opera in diverse edizioni di Pordenonelegge in passato (una volta mi ero anche complimentata con lei dopo l’incontro con l’intraducibile Fernando Arrabal), ma quest’anno sono addirittura riuscita ad avvicinarla al termine della bellissima conferenza stampa di Carlos Ruiz Zafón e a rubarle quest’intervista in cui ci racconta molto di sé… e anche un po’ di tutti noi amanti delle lingue.
Com’è nata la sua passione per le lingue, in particolare per lo spagnolo, e quando ha capito che la sua strada sarebbe stata l’interpretariato?
In realtà quella di studiare delle lingue straniere come aspetto caratterizzante di una futura professione, e quindi la scelta di optare per il liceo linguistico dopo le medie, è stata quasi un’imposizione dei miei genitori (allora “tiravano” le lingue come oggi l’informatica), nonostante io volessi fare il liceo musicale. Quello che si posso dire è che c’è sempre stata una profonda e innata passione per la lingua e la cultura spagnole e per questo Paese, che faccio risalire alla domenica di Pasqua di quando avevo otto anni e nell’uovo di cioccolata ho trovato un temperino con la bandiera spagnola, o ancora più indietro, a quando mia nonna mi faceva ballare sulle note de La Spagnola cantata dalla leggendaria Gigliola Cinquetti… forse era un segno del destino! Al mondo editoriale sono approdata nel 2007, quando il gruppo editoriale Gems ha pubblicato il primo romanzo di Ildefonso Falcones.
Il sogno di molti giovani interpreti è quello di lavorare fianco a fianco con i grandi scrittori. Cosa si prova a stare sul palco durante un festival letterario, come voce nell’ombra eppure indispensabile? E che tipo di chimica si crea tra autore, interprete e pubblico?
Qualche istante prima che si alzi al sipario penso che la sensazione dominante sia una versione particolarmente intensa di panico da palcoscenico, condito dall’incessante domanda “chi me l’ha fatto fare?” e da un travolgente senso di invidia per l’immagine di un traduttore seduto alla sua scrivania, circondato da una pila di dizionari e con una confortante tazza di caffè sul tavolo. Poi, come per tutti coloro che si trovano dietro il sipario, quando la funzione inizia il panico diventa energia. Con tutti gli autori con cui ho lavorato ho sempre stabilito un eccellente rapporto di stima e collaborazione reciproche, perché in quel momento facciamo squadra; mentre per quanto riguarda la relazione con il pubblico non saprei… a volte getto una rapida occhiata, se le luci lo permettono, ma distolgo subito l’attenzione cercando di concentrarmi sul mio lavoro, consapevole che ogni distrazione è fatale e l’emotività di qualunque genere è veleno mentre si lavora.
Chi ha avuto il piacere di vederla lavorare ha senz’altro notato i block notes spiralati su cui prende fitti appunti, rigorosamente divisi in due colonne. Può raccontare ai profani dell’interpretariato come funziona la sua tecnica?
La consecutiva è una modalità di traduzione che non lascia indifferente nessun interprete: o si odia o si ama, e io personalmente l’amo molto. Come tutte le cose va appresa gradualmente, diventando consapevoli di alcuni funzionamenti e schemi della nostra mente e della memoria che di norma attiviamo e usiamo senza pensare. Le note sono frutto di una miscela che ogni interprete arricchisce negli anni, fatta di una base “codificata” e più o meno condivisa che si impara nelle scuole per interpreti e di nuovi pittogrammi, parole chiave, simboli, abbreviazioni o parole di una lingua terza rispetto a quelle utilizzate, in grado di farci ripescare un discorso o un filo di pensieri. Ogni tanto rubo qualche nuovo simbolo ai colleghi o alle insegne stradali e ultimamente, devo confessarlo, anche ai miei studenti!
Spesso tra gli scrittori e i loro traduttori nascono rapporti di collaborazione molto stretti. Anche tra autori e interpreti si possono creare simili situazioni di vicinanza e conoscenza reciproca?
Certamente. Con gli autori con cui ho il piacere di lavorare da anni si è creata un’amicizia che oggi, grazie alla messaggistica, rimane in vita anche quando non ci si vede per lavorare insieme durante lunghi periodi. Ci sono persone con le quali si crea da subito una comunicazione spontanea che ci permette di “leggere” i pensieri oltre le parole, e si stabilisce un’atmosfera di complicità. È il caso di Clara Sánchez, con cui lavoro da tempo, o della scrittrice Nerea Riesco, che non vedo da anni ma che sento spessissimo e che come me è molto attiva sul fronte dei diritti degli animali.
Ci sveli qualche retroscena: quali sono gli scrittori che l’hanno messa più in difficoltà e quali invece quelli che hanno semplificato il suo lavoro?
Tutti gli scrittori mi hanno reso le cose facili: parliamo prima di iniziare, a seconda delle diverse occasioni (intervista, conferenza stampa o presentazione) e tutto è sempre andato liscio. Devo dire di essere stata molto fortunata, perché ho sempre incontrato persone che hanno contribuito alla buona riuscita del mio lavoro. Se qualcuno mi ha messo in difficoltà – il che è sicuramente successo – direi che non apparteneva alla categoria degli scrittori. In generale un interprete è messo in difficoltà quando è chiamato a tradurre un discorso dove in realtà non si vuole dire niente: “l’aria fritta” è difficilissima da tradurre per un interprete, che ha bisogno di capire pensieri e intenzioni. Ora che faccio mente locale chi mi ha messo veramente in difficoltà è stata una teologa: in quel caso mi sono confrontata – per fortuna nell’accogliente penombra di una cabina di simultanea – con un abisso vuoto che dovevo riempire di senso.
Infine, quali suggerimenti si sente di dare ai giovani che muovono i primi passi nel mondo dell’interpretariato?
In primo luogo una sconfinata dose di umiltà: ormai tutti siamo destinati a imparare per sempre, ma questo è particolarmente vero per chi sceglie questa professione. Credo però che la necessità di continuare a imparare, di cercare di sapere di tutto un po’, ci permetta di avere una visione tridimensionale e non piatta di una realtà sempre più complessa, oltre a mantenere i neuroni in forma. Pare che il morbo di Alzheimer abbia vita difficile nel mettere al tappeto un cervello quotidianamente allenato dalla curiosità e protetto dalla cosiddetta “riserva cognitiva” che ogni traduttore o interprete si crea e arricchisce giorno dopo giorno.
Rossana Ottolini è traduttrice interprete di conferenza specializzata nel settore editoriale. Ha iniziato a lavorare subito dopo la maturità linguistica come traduttrice di manualistica, lavoro che ha lasciato poco dopo per trasferirsi a Madrid, dove ha vissuto varie esperienze lavorative in campi diversi. Rientrata in Italia, ha conseguito il titolo di Interprete di Conferenza presso la SSML Silvio Pellico di Milano. Attualmente concilia il lavoro di insegnante di tecniche di traduzione orale presso la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori “Altiero Spinelli” di Milano e il Campus Ciels, sempre a Milano, con quello di interprete simultaneista e consecutivista.
Rossana Ottolini parteciperà a TradPro2019 con un intervento dal titolo Come non si suol dire in italiano. Scarica il Programma e visita il sito per avere maggiori informazioni e iscriverti!
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