Carlos Ruiz Zafón: la traduzione è una matematica della parola

Pordenonelegge 2017, la festa del libro con gli autori, si è conclusa da appena due giorni e l’adrenalina è ancora in circolo; non solo perché è una vera e propria festa che inonda di giallo la mia città, o un’occasione per dialogare con autori, attori, registi, studiosi e pensatori provenienti dai mondi più vari, ma anche perché, come proverò a raccontarvi, è un luogo di incontri inaspettati e di scoperte sorprendenti. Be’, sarò di parte, ma i friulani “do it better”: chi ancora non c’è mai stato sappia che Pordenonelegge è organizzato come una fabbrica di sedie e gustoso come una sagra del frico, e Sergio Castellitto in conferenza stampa l’ha addirittura definito “il Sundance dei festival letterari”. Non male, vero?

Quest’anno però (ben il diciottesimo!) il mio pnlegge è stato ancora più speciale, perché Linguaenauti ha ottenuto l’accredito stampa e ho potuto esplorare il festival da un luogo decisamente privilegiato: dietro le quinte. Perciò ho visto cose che voi lettori… potete senz’altro immaginare, soprattutto se seguite la pagina Facebook e l’account Twitter del blog, e che prenderanno forma di articoli nelle prossime settimane.

Il mio primo assaggio di Pordenonelegge è stato proprio nel giorno di apertura, mercoledì 13, quando ho partecipato alla conferenza stampa di Carlos Ruiz Zafón, l’autore incaricato di inaugurare il festival. Mentre lo aspettavo, sentendomi un po’ un pesce fuor d’acqua tra tante telecamere, microfoni e giornalisti veri, devo ammettere che non sapevo bene cosa fare. Ma quando è entrato con i suoi occhiali tondi, la sua spilla a forma di drago e il suo incedere pacato la tensione si è completamente sciolta; così alla fine sono partita di slancio e gli ho fatto anch’io una domanda, visto che nessuno aveva toccato l’argomento che più mi sta a cuore.

Zafon

Che rapporto ha con i suoi traduttori e con le traduzioni dei suoi libri? E una curiosità: ha una biblioteca apposita in cui conserva i suoi romanzi tradotti?

Mi rendevo conto che le domande precedenti erano state decisamente diverse (si andava dalla struttura labirintica della sua saga alla sua opinione sulle spinte separatiste della Catalogna, tanto per dire), quindi mi aspettavo che mi avrebbe liquidata in poche parole. E mi sarebbe stato comunque bene così; in fondo era l’ultima domanda prima delle interviste con radio e TV, e a me bastava una piccola dichiarazione per il blog. Invece, con mia grande sorpresa, dietro le lenti rotonde gli si sono illuminati gli occhi e mi ha dato una risposta bellissima, con un entusiasmo che non mi aspettavo e che mi ha lasciata con un sorrisetto scemo dipinto in faccia per tutto il resto della giornata.

Rispondo alla tua domanda partendo dalla fine. Sì, a casa mia, in California, ho un intero settore della biblioteca dedicato alle traduzioni dei miei libri, che stanno lì tutte in ordine, comprese quelle in giapponese con i loro bellissimi ideogrammi incomprensibili. Ma c’è un piccolo problema: ho scritto parecchi libri e ognuno è stato tradotto in circa cinquanta lingue, perciò le traduzioni stanno fagocitando gli altri libri e ormai rischiano di tracimare in tutta la casa!

Io ammiro e rispetto moltissimo il lavoro dei traduttori. Con molti di loro mantengo uno stretto contatto e collaboro volentieri, naturalmente se traducono verso lingue che conosco. Non forzo mai il loro lavoro e ognuno mi contatta quando meglio crede; alcuni mi scrivono i loro dubbi man mano che sorgono, mentre altri li inviano tutti insieme, alla fine della prima stesura. Certo, quando conosco la lingua in cui viene tradotto il libro è tutto più semplice, ma a volte capitano cose molto curiose. Un giorno, ad esempio, mi scrisse la mia traduttrice coreana chiedendomi aiuto per sciogliere un dubbio di traduzione. Io lessi qual era il problema e rimasi esterrefatto. “Se non ha capito quel passaggio”, mi chiesi, “cosa diavolo ha tradotto finora?” Infatti ho molta paura di andare in Corea, perché mi immagino di arrivare in aeroporto e di essere bersagliato da una pioggia di pomodori… temo che in Corea non apprezzino molto i miei libri!

Ad ogni modo, ho un interesse fortissimo per le lingue e le traduzioni. Essendo bilingue, cioè parlando dalla nascita castigliano e catalano, conosco abbastanza da vicino i meccanismi delle lingue romanze e posso rendermi utile ai traduttori. Inoltre, dato che vivo in California da ormai metà della mia vita, collaboro molto attivamente alle traduzioni dei miei libri in inglese; anzi, per me si tratta quasi di una riscrittura del libro, di una sorta di messa a punto finale.

Altre lingue invece restano un mistero quasi insondabile; l’olandese, ad esempio, ha un funzionamento completamente diverso dalle lingue romanze e spesso è necessario spezzare le frasi e ricostruirle da capo perché abbiano senso. Ma questo lavoro sulla lingua mi coinvolge e mi affascina enormemente: tradurre significa conoscere a fondo i meccanismi di una lingua, scardinarli e ricomporli come in un’architettura complessa.

Sì, la traduzione per me è questo: una matematica della parola.

Non perdetevi la cartolina dal festival di Carlos Ruiz Zafón!

m79mQ26ICarlos Ruiz Zafón è nato a Barcellona e dal 1993 vive a Los Angeles, dove si è trasferito per lavorare come sceneggiatore. Autore di libri per ragazzi, nel 1998 esordisce nella narrativa per adulti con L’ombra del vento, il primo volume della tetralogia del Cimitero dei Libri Dimenticati. A Pordenonelegge ha presentato l’ultimo volume della saga, Il labirinto degli spiriti, e ha rivelato di essere al lavoro su un romanzo dalle ambientazioni completamente nuove.

 

Leggi anche l’intervista a Rossana Ottolini, l’interprete di Carlos Ruiz Zafón che compare nella foto qui sopra!

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