The art of losing isn’t hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn’t hard to master.Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.I lost my mother’s watch. And look! my last, or
next-to-last, of three loved houses went.
The art of losing isn’t hard to master.I lost two cities, lovely ones. And, vaster,
some realms I owned, two rivers, a continent.
I miss them, but it wasn’t a disaster.—Even losing you (the joking voice, a gesture
I love) I shan’t have lied. It’s evident
the art of losing’s not too hard to master
though it may look like (Write it!) like disaster.
One Art di Elizabeth Bishop è una delicata poesia che mette in versi la nostra tendenza a perdere continuamente qualcosa, materiale o immateriale che sia, e spiega che in fondo la perdita non è una gran tragedia… se impariamo a fare un’arte.
Rileggendo per l’ennesima volta questo testo semplice ma che schiude sempre prospettive diverse mi è sorta una domanda: l’arte di perdere fa parte anche del lavoro di traduttore? E non mi riferisco al noto concetto filosofico del lost in translation, ma alle perdite che i traduttori devono affrontare nel loro mestiere e che in qualche modo plasmano la loro professionalità, e alla lunga anche la loro personalità (o è viceversa?). Nel tentativo di trovare una risposta ho pensato a sette tipi di perdite che ogni traduttore può sperimentare nella sua carriera e mi sono chiesta quanto davvero siano determinanti o, per dirla con Elizabeth Bishop, se siano o meno un disaster.
1. Perdere una prova
Come gli artisti, anche noi traduttori spesso dobbiamo affrontare “provini” che possono schiudere alcune porte o, al contrario, provocarci una grande frustrazione. A tutti è capitato o capiterà di partecipare a prove di traduzione e di perderle miseramente (la sua prova non è all’altezza dei nostri standard) o per un soffio (la sua prova è di altissima qualità, ma abbiamo scelto un altro traduttore…). Un disaster? Per quanto a volte la delusione sia davvero cocente, bisogna ricordare che quando si chiude un libro può sempre aprirsene un altro. Se la prova non è stata giudicata all’altezza possiamo trarne uno spunto per migliorare, o capire che con quel committente non c’è feeling e quindi sarebbero stati solo guai; se la perdiamo per un soffio è comunque un’iniezione di autostima e, come spesso capita, ci sono buone speranze di venire ricontattati in futuro o che la prossima volta tocchi a noi.
2. Perdere un’occasione
Cosa c’è di peggio di una splendida proposta di traduzione che arriva quando siamo stracolmi di lavoro, alla vigilia di una meritata vacanza, dopo aver accettato malvolentieri un incarico pessimo o giusto quando il piccolo si ammala? A volte l’occasione si presenta nel momento meno opportuno e per quanto proviamo a tirare il tempo e le energie per i capelli, non resta altro rimedio che rifiutare… Per poi rimuginarci per giorni, chiedendoci se ci avrebbe aperto chissà quali meravigliose opportunità. Purtroppo anche questo è un inconveniente del mestiere e bisogna imparare a fronteggiarlo, che sia dicendoci che comunque in quelle condizioni non avremmo fatto un buon lavoro (rischiando di farci depennare per sempre dai contatti del cliente) o che non è detto che il treno non ripassi (e in effetti è vero). L’unica certezza è che continuare a pensarci non serve a niente.
3. Perdere un cliente
L’incubo peggiore dei traduttori freelance è perdere un cliente: perché succede qualcosa che ci allontana, perché lui trova qualcun altro o perché improvvisamente non ci chiama più senza darci spiegazioni, facendoci precipitare in un mare di dubbi più da innamorati che da professionisti (Non avrà più lavoro? Avrà trovato qualcuno più economico? O peggio, più bravo? Si è stancato di me? Non valgo abbastanza?). Sì, può essere davvero frustrante e in genere facciamo di tutto per tenerci stretti i nostri clienti, esaudendo tutte le loro richieste più assurde pur di non deluderli. E quando li perdiamo quel che resta è davvero un terribile senso di vuoto. Però capita anche il contrario, ovvero siamo noi a decidere consapevolmente di perderli, o perché ci siamo stancati o perché abbiamo trovato di meglio. Comunque sia, come quando finisce una relazione, la cosa migliore è imparare dai propri errori e ributtarsi nella mischia con più entusiasmo e consapevolezza di prima.
4. Perdere tempo
Quante volte ci è capitato di trovare clienti o presunti tali che ci fanno solo perdere un’infinità di tempo? Quelli che ci inondano di richieste assurde (mi reimpagini tutto con i nomi in maiuscolo tra due asterischi?), che ci chiedono favori (mi traduci due righe per un amico?), che ci fanno fare delle prove per lavori che non si concretizzano mai, che ci chiedono spiegazioni dettagliate per ogni parola tradotta… e la lista potrebbe proseguire all’infinito. Questo tempo perso è irritante come il prurito e pur non costituendo un disaster può davvero metterci in difficoltà. In questo caso l’arte consiste nello stroncare alla radice i succhia-tempo: se il cliente non è poi così importante si può osare dire di no, se c’è confidenza si spiegano le proprie ragioni e ancora una volta si impara dai propri errori, ad esempio informandosi su tutti i dettagli di un lavoro prima di cominciarlo. Non è facile, ma quale arte lo è?
5. Perdere l’orientamento
Perdere l’orientamento, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è un rischio solo per i traduttori alle prime armi. Può capitare a tutti di chiederci Cosa ci faccio qui? mentre traduciamo argomenti che non ci interessano minimamente, o dopo anni di impegno che non ci hanno portato molto lontano, o per clienti che non ci danno le soddisfazioni sperate. Quando capita abbiamo la sensazione di trovarci senza punti di riferimento, costretti a girare intorno a noi stessi. Perdere l’orientamento può davvero sembrare un disaster, ma qui scatta l’arte: tentare strade nuove senza paura, scrivere help sulla sabbia se necessario e aprirsi verso nuove mete. Un corso di specializzazione, un percorso professionale mai tentato, fare piazza pulita di clienti palle al piede, nuovi stimoli e orizzonti possono trasformare la perdita in una risorsa.
6. Perdere la fiducia
Le proposte non arrivano, le prove di traduzione non vanno in porto, gli invii di CV non ottengono risposta, i vecchi clienti non si fanno sentire, il fatturato precipita… A volte per i traduttori freelance la strada si fa davvero in salita. Ci sono momenti in cui tutto va male, l’entusiasmo viene meno e la fiducia in noi stessi e nel mondo crolla a picco. In questi frangenti ci sentiamo persi e sconfitti; ma come ci insegna la nostra poesia, non è poi un gran disaster. Questi momenti possono servire per prenderci una pausa rigenerante o, perché no, per accettare che questo lavoro non fa per noi. Comunque sia, l’importante è non commiserarsi: i tempi bui passano e ci rendono più forti e consapevoli.
7. Perdere noi stessi
Può sembrare un po’ apocalittico, ma a volte la sensazione è proprio questa: noi freelance dobbiamo mettere in conto parecchia fatica per procurarci e tenerci stretti i committenti, orari impossibili per accontentarli o far quadrare il cerchio della vita quotidiana, incarichi che arrivano quando abbiamo la valigia pronta o il pranzo di Natale in forno, una porta sul lavoro che non si chiude mai… A volte ci sentiamo in un turbine in cui è facile smarrire noi stessi, i nostri spazi, le cose che ci piace fare, persino i nostri cari; tutto sembra girare intorno al lavoro e ci sentiamo annullati. È difficile non considerare la perdita di sé come un vero disaster, ma anche qui qualche lato positivo c’è: a furia di trovarci in queste situazioni arriva il momento in cui capiamo chiaramente i nostri limiti e impariamo a prevedere il punto critico, per evitare di ricaderci la prossima volta… se non è strettamente necessario.
E voi, cos’avete paura di perdere nel vostro lavoro (o per causa sua)?
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Articolo interessantissimo e che condivido in pieno, forse un’altra perdita che aggiungerei io è quella della “Perdita” intesa come distacco dal lavoro che svolgiamo, dal prodotto del nostro lavoro. La perdita come distacco dalle traduzioni una volta completate, quelle su cui abbiamo sudato anima e corpo, faticato, per cui ci siamo spremuti le meningi, alla fine la sentiamo in qualche strano modo “nostra”; ma anche la perdita di un argomento quando, da interpreti, ci prepariamo a una conferenza, entriamo nel vivo della questione, studiamo, approfondiamo, leggiamo tutto il possibile e poi finiamo per perdere tutto, inevitabilmente e inesorabilmente, il giorno dopo la fine dei lavori della conferenza.
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Ciao Ilaria! Hai proprio ragione, c’è anche questo tipo di perdita… a volte dispiace davvero tanto lasciar andare un lavoro che ci ha entusiasmati (altre volte invece è una liberazione, ma questa è un’altra storia!). Per fortuna però diventa tutto un bagaglio intangibile che ci portiamo dentro e che costruisce la nostra esperienza.
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