Linguaenauti intervista Luciano Sacchetti, musicista, autore e adattatore di canzoni per importanti serie TV, che ci svelerà i suoi segreti per restituire al pubblico la magia delle musiche originali.
Luciano Sacchetti, conosciuto come Elle, nasce artisticamente nel 1997 come autore per BMG. Nel 1999 pubblica il suo primo album con EMI Music Italy e ottiene grandi riconoscimenti, tra cui il premio come miglior artista esordiente ai Tribe Awards del 2000. Nel 2002 un suo brano viene scelto per Global Soul, una compilation contenente brani di artisti soul provenienti da tutto il mondo, tra cui Neneh Cherry, Giant Leap e Speech. Nel 2003 pubblica ancora con Emi Music Italy, collabora con artisti internazionali come K-mel dei francesi Alliance Ethnik e partecipa come ospite in album di band italiane.
Dal 2004 a oggi scrive e produce musica per cinema e tv, recuperando e integrando colonne sonore. Un dei suoi lavori più prestigiosi è il recupero e l’integrazione, con musiche nuove ed originali, della colonna sonora dell’intera collana di Ai confini della realtà, storica serie tv degli anni ’50 e ’60.
Nel 2010-2013 scrive e produce un nuovo album, dal titolo Ogni volta che vorrai amarmi, anticipato dal singolo Fiori e colori, collaborando con una varietà di musicisti e produttori. Dal 2006 a oggi si appassiona alle sonorità mediorientali e ha creato una sua etichetta con la quale ha prodotto i dischi di Eliseo Classica, la rassegna di Musica Classica nata nel 2008 presso il Teatro Eliseo di Roma, e in particolare i concerti di piano solo del Maestro Lorenzo Porta Del Lungo.
Sei un cantautore, quindi sei abituato a scrivere canzoni tue. Come hai cominciato ad adattare quelle delle serie TV straniere?
È stato nel 2004. Dopo due album con Emi Music iniziarono a contattarmi come produttore e autore conto terzi, chiedendomi di realizzare colonne sonore e sigle. All’inizio ho fatto molti cartoni animati, poi iniziarono a chiamamie per le serie televisive e i film. Ricordo ancora quando mi chiamarono per recuperare e integrare con musiche originale la meravigliosa serie degli anni ’60 Twilight zone, conosciuta in Italia come Ai confini della realtà. Io la ricordavo bene: da piccolo, accanto all’edizione anni 80, curiosando, avevo scoperto l’edizione in bianco e nero. Avere la possibilità di lavorare sulla riedizione di quella serie fu elettrizzante.
A volte le canzoni vengono doppiate, altre volte sottotitolate. Come cambia il tuo lavoro a seconda del diverso tipo di adattamento?
Quando le canzoni devono essere doppiate, sono obbligato a fare un po’ come fa l’adattatore dei dialoghi: devo stare attento ai labiali. Il problema è che, nel mio caso, devo anche scegliere le parole cercando rime appropriate, mantenendo una poetica. Il lavoro è affascinante ma, a volte, molto complesso. Quando so che le canzoni verranno sottotitolate, mi sembra di avere un po’ più di libertà.
Cosa credi sia più importante nell’adattamento di una canzone: preservare il più possibile il testo o privilegiare la musicalità, la ritmica e le rime?
Io sono un musicista e un autore, quindi è importante che il mio testo abbia una musicalità, che viaggi insieme alla musica. La voce, nel mio caso, è uno strumento musicale: l’attore che doppierà il personaggio dovrà cantare quelle parole e per farlo devono suonare nel modo giusto. Il mio lavoro si avvicina a quello del poeta, in cui il suono delle parole dà all’ascoltatore un piano di lettura più profondo.
Hai adattato le canzoni delle due stagioni di Cumbia Ninja, una serie musicale molto amata dai ragazzi. Quali sfide hai dovuto affrontare in questo caso e quali aspetti ti hanno dato maggiore soddisfazione?
All’inizio fu una vera sfida. Vengo dal rap, quindi quel tipo di testi, quel mood mi apparteneva. Per prima cosa mi dedicai alla sigla di testa. Era difficile, perché il rap non è come una canzone normale: il linguaggio è una parte cruciale della scrittura e una parola non vale l’altra. Ancora non mi era stato detto dalla produzione se i testi sarebbero stati cantati o se sarebbero stati scelti come sottotitoli. Decisi, nelle parti del rap dove ne sentivo la necessità, di reinterpretare le emozioni che venivano cantate, scrivendo, a volte, parti di testo che correvano su un binario parallelo: non era una traduzione ma interpretava, con parole diverse, le sensazioni che l’originale descriveva. Doveva essere sincera, diretta. Poi mi accorsi, leggendo su internet, che molti ragazzi che commentavano il testo in italiano sottolineavano il fatto che non fosse una traduzione. Sembravano sorpresi. Alcuni avrebbero preferito una traslazione letterale del testo. Qualcuno, invece, si lanciava, dicendo che era stato forse scritto da un rapper che raccontava la sua storia. Ma alla maggioranza (spesso erano ragazzi sudamericani, probabilmente bilingue) sembrava non importare. Loro capivano il testo originale e quello che leggevano non era la sua traduzione. Capii allora che, in quel caso, era più importante preservare il testo, alcune volte rinunciando ad una rima bella che mi veniva in mente. Fu molto importante quella serie: per me i ragazzi e il pubblico sono quello che conta. Sono loro la mia bussola.
Quanto credi sia importante per un adattatore – e un cantautore – conoscere e amare la lingua italiana in tutti i suoi registri, da quello più colto a quello “da strada”? Tu, da cantautore cosa fai per mantenere vive le tue abilità linguistiche?
La lingua italiana è meravigliosa. Unica. Da allo scrittore possibilità che altre lingue non danno. Ci sono dialetti che hanno resistito ad invasioni, violenze, tentativi di appiattimento. Ma sono sopravvissuti e sono la linfa vitale della lingua italiana stessa. Penso al siciliano, ai poeti arabi siciliani. La poesia è per tutti, non ti fa i conti in tasca. E così, chi ha la fortuna di fare il nostro mestiere deve saper scegliere le parole con arte, pescando da tutti i registri, come li chiami in modo molto musicale tu. Io, per mantenere viva la mia passione, scrivo. Mi vien da ridere, perché ho scritto una banalità. Ma forse, forse, non è così una banalità. Perché quando scrivo per il cinema, quando scrivo per una serie tv o quando scrivo una sigla di un cartone, cambio. Devo cambiare. Devo lasciarmi andare a quello che sto scrivendo e alle persone per cui sto scrivendo. E ancora di più cambio quando scrivo le mie canzoni, come l’album nuovo che sta nascendo, che vede la collaborazione artistica del produttore Flavio Ferri, dei Delta V.
Ci puoi regalare un ricordo o un’esperienza speciale legata al tuo lavoro?
Un ricordo dolce. Un mattino, dal giornalaio, incontrai un uomo con un ragazzino che avrà avuto 10 anni. Il piccolo portava al polso uno strano bracciale verde e nero. Era il braccialetto alieno di Ben Ten, l’omnitrix. Io lo guardo e gli dico: “Quello è l’omnitrix di Ben Ten”. Lui mi guarda e con occhi grandi mi dice “ E tu che ne sai?” E io: “Ho cantato la sigla” I due occhi, già grandi, divennero due occhi giganti spalancati, uno accanto all’altro, quasi si toccavano. “Sei tu che la canti???!!!” Era contento, emozionato, divertito, sorpreso da quell’incontro inaspettato. Ci salutammo come due amici e io, a distanza di anni, ancora lo ricordo come uno degli incontri più dolci ed emozionanti mai fatti.
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