Tradurre Marte

Se la settimana scorsa confessavo la mia passione per la fantascienza nella recensione di Arrival, oggi vorrei condividere una splendida esperienza di traduzione che ho concluso da poco, in cui la scienza che l’uomo sta sviluppando si mescola con un futuro oramai a portata di mano. Si tratta dell’originale serie-documentario MARTE (MARS in originale), realizzata da National Geographic, prodotta da Ron Howard e andata in onda alla fine del 2016, e per quanto mi riguarda frutto della sempre fantastica collaborazione con Luciano Sacchetti.

mars

Il primo elemento speciale di questo progetto è proprio il formato ibrido, in cui non mi ero mai imbattuta prima: la serie infatti mescola le vicende di un gruppo di astronauti che sbarca su Marte nel 2033 con le interviste a scienziati, ricercatori e imprenditori che stanno lavorando affinché la missione sia davvero realizzabile in un futuro molto prossimo. Insomma, un mix inedito che permette di interpretare quanto raccontato dagli intervistati sotto forma di azioni ed emozioni di esseri umani reali, calati in un mondo così ostile che ci riuscirebbe difficile immaginarlo se non ci venisse mostrato. E se i protagonisti del documentario, come l’imprenditore spaziale Elon Musk o il presidente della Mars Society Robert Zubrin, hanno uno sguardo appassionato e visionario che irradia entusiasmo (e un pizzico di follia, come dev’essere), gli attori riescono a mostrarci il significato della parola “pioniere” in tutta la sua crudezza.

Dal punto di vista della traduzione le difficoltà principali sono state due: innanzitutto i termini tecnici, per affrontare i quali ho attinto all’esperienza di traduzione di innumerevoli episodi di Enigmi Alieni e alla mia passione personale per i viaggi spaziali. Il tecnicismo a me più caro? Terraformation, cioè “terraformazione”; certo la traduzione del termine in sé non è affatto difficile, ma lo è molto di più spiegare questo procedimento grazie al quale sarebbe possibile rendere abitabile un pianeta con determinate caratteristiche, a partire dalla creazione di un’atmosfera che col tempo riattiverebbe il ciclo dell’acqua… Insomma, un bel lavoretto per i futuri coloni di Marte! (Detto tra noi, alcuni sostengono che questo procedimento sia stato usato dagli antichi astronauti per rendere abitabile la Terra… ma questo è un altro discorso.)

La seconda difficoltà è un problema che ho riscontrato in diversi documentari-interviste prima di questo e cioè che… non di rado i grandi scienziati parlano davvero in modo contorto! (Forse perché preda delle loro passioni divoranti?) Spesso quando ci sono di mezzo interviste immediate, e non in studio come in altri tipi di documentari, il traduttore deve ricorrere a tutte le proprie abilità per rendere il discorso semplice e fluente, senza però perdere una goccia del contenuto. Sì, è strano “correggere” la grammatica di geni visionari, di astronauti con più competenze per chilo di peso di quante ne potrei mai sognare o di grandi artisti come Ron Howard… ma queste sono le piccole soddisfazioni dei traduttori!

Un aspetto curioso di questa serie è stato lavorare sui video non ancora passati per la post produzione. In realtà è abbastanza frequente che questo accada: spesso i traduttori lavorano con video in bianco e nero a cui mancano alcuni elementi, come brusii audio o qualche immagine (ad esempio capita che un personaggio legga un messaggio su un telefono dallo schermo nero, e altre cose simili di poco conto), ma in questo caso è stato davvero straniante dover immaginare una grotta marziana al posto di un evidentissimo telo grigio, o seguire gli astronauti che fingono di aggiustare un mezzo spaziale inesistente, o ancora vederli gioire per scoperte invisibili a video. (Sì, noi traduttori ci divertiamo con poco!)

La lezione più interessante che ho portato a casa da questa esperienza, a livello di traduzione, è stata la sfida posta dal passaggio continuo dallo stile della serie TV a quello della docu-intervista e dalla necessità di armonizzare il tutto. Il linguaggio della serie è più controllato e in un certo senso stereotipato (inoltre i personaggi erano di diverse origini e ogni tanto ho avuto la possibilità di divertirmi anche con spagnolo e francese); il dialogo, poi, non è troppo fitto, perché gli autori hanno preferito indugiare più sui sentimenti che sull’azione. Il linguaggio del documentario, invece, è spesso concitato e molto elaborato, quindi il ritmo cambia radicalmente da una sezione all’altra.

Dal punto di vista personale mi hanno colpita i messaggi di fondo espressi dagli scienziati che con ogni probabilità renderanno possibile il viaggio umano su Marte:

  • l’istinto di esplorazione dell’uomo è realmente inarrestabile; la necessità di andare oltre i nostri limiti ci definisce come specie
  • la nostra futura evoluzione in una specie “multipianeta” è dettata non solo dal desiderio di esplorare, ma anche dalla necessità di trovare una via di fuga per evitare di estinguerci (brividi!)
  • Oggi gli studi e le simulazioni tendono a concentrarsi tanto sugli aspetti tecnici quanto su quelli umani. La sfida maggiore, infatti, è rappresentata dai sette mesi di viaggio necessari per raggiungere Marte, e se il fattore umano non funzionasse equivarrebbe all’esplosione di un razzo. Insomma, per convivere nello spazio ristretto di un’astronave e nell’immensità del cosmo bisogna padroneggiare le competenze apprese nei primi anni di vita: l’empatia, la resilienza, la generosità.

Mi affascina l’idea che la modernità più estrema richieda di tornare alle basi della convivenza umana per essere realizzata. Che sia un avvertimento per il futuro?

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3 risposte a "Tradurre Marte"

  1. Prima di tutto, complimenti per l’ottima traduzione di questa serie.
    Come te, sono affascinata dalle implicazioni umane di una futura colonizzazione di Marte. Peccato che, essendo un docudrama, che quindi dà solo in parte spazio alla finzione e si concentra perlopiù sull’aspetto scientifico, la storia sia stata raccontata un po’ in fretta, senza poter esplorare più da vicino molti degli aspetti umani legati alla forzata convivenza per anni in spazi ristretti, confinati. Credo che quello della convivenza e il mantenimento dell’ordine in un luogo dove chi ha fatto le regole si trova letteralmente in un altro mondo sia davvero il problema principale da considerare nella realizzazione di un’impresa di questa portata.

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      1. Be’, la serie stata rinnovata per una seconda stagione, ma dubito che Nat Geo mostrerà questi aspetti controversi. La serie è stata fatta per spingere il pubblico a interessarsi all’esplorazione di Marte e in generale alle scienze spaziali, ed è evidente come cerchino di dare un’impronta ottimistica. Anche di fronte alle avversità (diciamocelo, a questi poveri colonizzatori è successo proprio di tutto!), cercano di riportare il tutto verso la normalità e dare un’immagine positiva di questo tipo di missioni. 😉

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