Vera Gheno, un’ingegnera (mancata) alla Crusca

Vera Gheno è una sociolinguista specializzata in Comunicazione mediata dal computer, docente universitaria, membro della redazione di consulenza linguistica dell’Accademia della Crusca e responsabile, dal 2012, del profilo Twitter dell’ente, nonché traduttrice. Ingegnera mancata e bilingue per nascita, la sua giornata oscilla tra vulcaniche lezioni universitarie e il silenzio del suo studio, tra riflessioni sulle regole inflessibili dell’italiano e l’italiano che cambia a vista d’occhio sul web. Una professionista decisamente versatile e molto lontana dallo stereotipo del linguista-topo da biblioteca ignaro della vita che pulsa fuori dal suo studio, che ci aprirà uno spiraglio sul suo mondo fatto di passioni e parole.

Foto Vera

Cominciamo schiarendoci un po’ le idee: potresti spiegarci cos’è la sociolinguistica e cosa ti ha convinta a sceglierla come campo di specializzazione?

In realtà io, all’università, mi sono dapprima iscritta a Ingegneria. Ci ho messo tre anni a capire che non era il caso, che ci avrei messo troppo e che l’intero ciclo di studi sarebbe stato una sofferenza. A quel punto ho ammesso la mia sconfitta e mi sono iscritta a Lettere (vengo da una famiglia di linguisti, volevo evitare di ritrovarmi nel solco della tradizione, e invece…). Tra tutte le materie, mi sono ben presto resa conto di provare particolare interesse per quelle linguistiche, e tra i molti esami di settore che ho sostenuto (linguistica italiana, semantica, lessicologia, grammatica italiana, psicolinguistica, ecc.) mi sono innamorata perdutamente di sociolinguistica, che, come dice il nome stesso, è una linguistica calata fortemente nel contesto sociale: in sostanza si occupa di come parlano le persone, e soprattutto di perché parlino in quel certo modo.

La principale “colpevole” della mia passione è stata la mia professoressa, Patrizia Bellucci, che faceva lezione con incontenibile passione e con un entusiasmo tale da contagiarmi. È stata lei a farmi capire che cosa volessi fare io nella vita: studiare i comportamenti linguistici delle persone e aumentare, dove possibile, la coscienza linguistica dei parlanti. La lingua, del resto, è parte importantissima della vita di ogni persona, e il successo di ognuno di noi nei rapporti umani, ma anche nella vita lavorativa, è spesso legato alla competenza linguistica: è importante saper dire la cosa giusta nel modo giusto al momento giusto, ed è ancor più importante avere coscienza di questo.

Oltre a fare la docente universitaria collabori con un tempio della lingua italiana: l’Accademia delle Crusca. Puoi rivelarci come sei entrata in questa istituzione e di cosa ti occupi nelle sue venerabili stanze?

Ho iniziato a collaborare con la Crusca nel 2000, quindi a venticinque anni. Ero dottoranda di ricerca all’università di Firenze (ovviamente in Linguistica italiana!); ai dottorandi dell’ateneo fiorentino succede sovente di ritrovarsi a collaborare con l’Accademia per progetti scientifici più o meno grandi, dato che le due istituzioni lavorano spesso insieme. Ho iniziato con una piccola collaborazione scientifica, poi un’altra, un’altra ancora… ed ecco che, alla fine, sono rimasta in Crusca per tutti questi anni, chiaramente con compiti diversi, anche se abbastanza presto mi sono stabilizzata a collaborare al sito web sia per la parte dei contenuti sia per la parte tecnica. Da lì a diventare membro della redazione della consulenza linguistica (soprattutto per le risposte da pubblicare sul sito della Crusca) il passo è stato breve, e, quando abbiamo aperto i canali social nel 2012 (Facebook e Twitter), iniziare a gestire Twitter è stato quasi uno sbocco naturale per me, dato che nel frattempo avevo continuato a studiare specificamente la comunicazione mediata dal computer. Il profilo Facebook è invece gestito da Stefania Iannizzotto, che ha infinitamente più pazienza di me, per fortuna!

Come se non bastasse, sei anche traduttrice in una combinazione piuttosto insolita. Ci racconti com’è nata la tua passione per la traduzione?

Per i primi anni della mia vita sono cresciuta da magiarofona: mio padre è italiano, ma è stato professore di filologia ugrofinnica all’università e parla ungherese molto bene, mia madre è ungherese e ha studiato italiano a livello universitario. Diciamo che ho iniziato a parlare italiano quando sono entrata all’asilo (a Panzano in Chianti!), e poi tutta la mia scolarizzazione è avvenuta in italiano, per cui oggi considero questa la mia prima lingua, la mia lingua madre. Quando parlo con mia madre e mio padre spesso facciamo code-switching o code-mixing, cioè diciamo una frase in italiano e una in ungherese, oppure cambiamo lingua anche all’interno della stessa frase (usando anche il veneto, che è un po’ la nostra lingua dei sentimenti). Di solito chi ci ascolta rimane inorridito e affascinato allo stesso tempo da questo pastiche linguistico!

Non avevo mai pensato di usare questa mia competenza di bilingue per lavoro, ma poi, all’incirca nel 2004, venni contattata da una casa editrice milanese (Edizioni Anfora) per tradurre un libro per bambini dall’ungherese all’italiano (Il mago maldestro, di Pál Békés). I miei genitori mi spinsero a provarci, nonostante il mio iniziale scetticismo; in seguito, anche se con pause di interi anni, ho continuato a tradurre: è un lavoro che mi piace molto, anche se è davvero difficile.

Per lavoro hai a che fare tutti i giorni con le parole. Ci riveli quali sono i nuovi “tic” linguistici che proprio non sopporti e quali le parole o espressioni della lingua italiana per cui provi più affetto?

Il piuttosto che disgiuntivo o addirittura congiuntivo, alcune parole particolari che, a forza di sentire, trovo irritanti, come cacofonico o sdoganare (quante volte me le hanno dette in relazione a petaloso!), l’inglese quando inutile e pronunciato male (/menèggement/ per management o /noào/ per know-how)… ma in generale sono estremamente elastica, non mi adombro più di tanto. Certo, ho qualche idiosincrasia per gli errori di ortografia e, ahimè, devo ammettere che ho pure dato dei due di picche a potenziali corteggiatori che mi avevano scritto “pò” o “qual’è”: deformazione professionale! Mi piacciono, invece, le parole desuete, anche quelle dei dialetti, che si sentono sempre più di rado. La mia parola preferita in assoluto è resilienza: mi ci sono appellata spesso, in momenti di difficoltà.

Quali sono gli aspetti che preferisci delle tue attività e quali quelli più complicati? E oggi ti senti più una sociolinguista, una docente o una traduttrice?

Insegnare è la cosa più bella del mondo. Inizio la lezione e mi sento rinascere, anche quando sono molto stanca. Anche tradurre, ritirata nella solitudine del mio studio, mi piace molto. In generale, devo ammettere che amo tutto quello che faccio: non c’è niente che io faccia svogliatamente o per imposizione (tranne, forse, le pulizie di casa…). Perfino stare quasi tutto il giorno a controllare Twitter per vedere le interazioni con il profilo della Crusca non mi pesa affatto, anche se a volte, come tutti, perdo la pazienza. Ma cerco di non farlo trasparire. Oppure, alla peggio, “contro-trollo” ossia passo al contrattacco: una delle ultime volte che l’ho fatto, la Crusca è finita su Severo ma giusto, quindi direi che, quando mi ci metto, funziona!

Fotografia: Anna Volpi Photography

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