Avete mai sentito parlare di serie del calibro di Girls, The Good Wife o Ray Donovan? Be’, dietro quei dialoghi c’è lei, Tatiana Visonà, una creativa approdata per caso al mondo della traduzione audiovisiva e dell’adattamento. Racconta che dopo il diploma di perito turistico preso nel 1978 a Milano (con il massimo dei voti e accademica pacca sulla spalla) tutti le consigliavano di iscriversi all’Università, ma lei è partita per Londra a perfezionare l’inglese… e i tre mesi programmati si sono prolungati quasi un anno. Nel tempo ha aggiunto corsi di comunicazione, di marketing, di scrittura creativa; ha lavorato in pubblicità, prima come account e poi come copy, inclusa una breve esperienza come autrice di testi televisivi sotto l’ala protettiva di Dino Verde (uno dei suoi docenti del corso di scrittura creativa). I soldi guadagnati in tv le hanno permesso di trascorrere un divertentissimo periodo a costruire uno spettacolo teatrale super-off. Mentre lavorava come copy ha incontrato il doppiaggio, il suo ultimo e più durevole amore.
Com’è nata la tua passione per le lingue straniere e quale credi sia il modo migliore per impararle?
Sono un bravo pappagallo: ho sempre avuto molta facilità nel riprodurre i suoni e sono molto curiosa. Saper comunicare in più lingue offre più possibilità di esplorare. Il modo migliore per impararle è andare a vivere dove le parlano. Per ognuna delle lingue che ho studiato il salto di qualità c’è stato andando sul posto, a immergermi nell’idioma.
Come sei approdata al mondo della traduzione e adattamento di serie TV?
Per caso. Lavoravo a un progetto di comunicazione per un’industria farmaceutica e dovevamo rendere più compatto un documentario sul ginseng. Lo studio che si occupava della parte tecnica aveva anche un settore doppiaggio e un giorno, mentre ero nei loro uffici per il mio progetto, ci fu un’emergenza per un trailer che andava registrato prima di subito. Mi offrii di tradurlo: era un 30 secondi e ci vollero pochi minuti. Iniziarono a passarmi altre cose. Per loro lavoravo di notte e nei ritagli di tempo, divertendomi molto. Dopo qualche anno lasciai la pubblicità e iniziai a fare sul serio con traduzioni e adattamenti.
Raccontaci il tuo metodo di lavoro: quando arriva una nuova serie TV qual è la prima cosa che fai?
Vado a scavare su internet. Cerco tutte le info possibili per farmi un’idea del tipo di storia, dei personaggi, di come va l’audience nel paese d’origine, che ha detto la critica, cose di questo tipo. Mi leggo tutte le sinossi degli episodi disponibili. Poi inizio a vedere le prime tre puntate. Di solito nei primi tre episodi c’è tutto ciò che serve sapere per impostare il lavoro.
Quali sono secondo te le caratteristiche di un’ottima traduzione per il doppiaggio?
Innanzitutto conoscere bene la lingua da cui si traduce. Sembrerà banale, ma ci sono pochi traduttori davvero in grado di cogliere le sfumature e di non cadere nei tranelli delle espressioni idiomatiche. Specialmente l’inglese è una lingua in continua evoluzione, non si può mai smettere di aggiornarsi, bisogna leggere (anche i quotidiani), vedere film, seguire trasmissioni televisive. Tutto questo è molto più facile oggigiorno, perché si può fare dal computer. La seconda cosa che facilita il lavoro di un adattatore è avere a disposizione alternative, di termini o anche di intere frasi, e note a piè di pagina che chiariscano le scelte del traduttore rispetto all’originale.
L’incubo dei traduttori sono i giochi di parole (i temuti “intraducibili”) o i riferimenti culturali incomprensibili alla maggior parte del pubblico. Come affronti questi problemi nella tua pratica di traduzione?
Se non c’è modo di rendere il senso, si inventa una cosa diversa, si cambia. Si riscrive la battuta, insomma. E anche qui, si offrono alternative, anche di adattamento, in modo che il direttore del doppiaggio possa scegliere in sala.
Noti una distanza tra la lingua italiana parlata normalmente e quella delle serie TV tradotte? Come si può colmare secondo te?
Fatta eccezione per le serie storiche, che devono necessariamente avere un linguaggio congruo all’epoca in cui si svolgono, la distanza in realtà è sempre più breve, un po’ perché il linguaggio delle serie diventa sempre più colloquiale, e un po’ perché è partita una contaminazione della lingua parlata proprio a partire dalle serie: per farti un esempio concreto, il termine “supportare”, che io detesto profondamente ma che tutti usano continuamente, viene da lì, da adattatori troppo pigri o insicuri per utilizzare “appoggiare”, che ha tutte le labiali che servono ed è molto più gradevole.
Quale formazione e quali doti credi servano per diventare traduttori e adattatori di film e serie TV oggi?
Per quanto riguarda la formazione so che esistono corsi di studio mirati alla traduzione per il doppiaggio, ma non ho idea se e quanto formino realmente al lavoro. Come dicevo all’inizio, bisogna conoscere bene la lingua da cui si traduce ed essere visceralmente curiosi: può capitare di perdere un’ora per cercare di districare un punto oscuro, un passaggio non immediatamente chiaro. Le informazioni sono tutte in rete, bisogna sapere come cercarle e avere l’umiltà e la pazienza di trasformarsi in un cercatore di parole. E a volte la soluzione ti arriva mentre stai girando il sugo!
Qual è la serie che ti ha dato più soddisfazione tradurre e quale la più difficile?
Si tende sempre ad amare i figli più piccoli: adattare Ray Donovan l’estate scorsa mi è piaciuto moltissimo. La serie più difficile è stata senz’altro The Good Wife: essendo un legal drama mi sono dovuta documentare su tutte le sfumature del sistema legale americano in generale e spesso anche sulle differenze tra i vari stati. Molto istruttivo. È proprio questo che mi piace del mio lavoro: ti costringe ad imparare almeno tre cose nuove ogni giorno.
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