Studiare lingue cambia la vita? Risponde Federico Gaspari

Un’esperienza di studio all’estero può indirizzare la nostra vita verso nuove, insospettabili rotte? E studiare in un contesto multiculturale, anche in Italia, può fare la differenza sul piano non solo professionale, ma anche personale? Federico Gaspari, professore decisamente cosmopolita, ne è convinto e in questa intervista ci spiega perché, fornendo spunti e ispirazione a tutti coloro che vorrebbero fare il grande passo ma non hanno ancora chiaro come. E da studioso di traduzione automatica rassicura gli scettici: gli esperti linguistici non sono destinati a diventare obsoleti; tutt’altro…

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Oggi, dopo un lungo periodo all’estero per il tuo dottorato di ricerca e varie collaborazioni con università in Inghilterra e Irlanda, insegni lingua inglese e traduzione all’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria. Puoi raccontarci com’è nato e cresciuto il tuo rapporto con le lingue e culture straniere?

Ricordo di aver avuto una particolare attenzione e curiosità nei confronti delle lingue fin da piccolo, e alle scuole medie ho scoperto una predilezione per l’inglese, che ho iniziato a coltivare anche con l’ascolto di musica internazionale e soprattutto con i tentativi di capire i testi delle canzoni dei miei gruppi e cantanti preferiti: negli anni ’80 non c’era Internet per trovare le trascrizioni con un semplice clic! Ho poi avuto la fortuna di approfondire questa mia passione con un soggiorno di studio in Inghilterra a 14 anni e uno scambio scolastico a Chicago durante le scuole superiori, e successivamente ho scelto il percorso universitario migliore per seguire le mie inclinazioni, iscrivendomi alla Scuola Interpreti dell’Università di Bologna a Forlì; lì ho studiato traduzione con le lingue inglese e tedesco (con un po’ di russo a livello introduttivo) in un ambiente molto stimolante, aperto e dinamico, con professori validissimi e compagni di corso molto preparati. Grazie al progetto Erasmus, ho trascorso l’intero terzo anno di università in Inghilterra, presso l’ottima Università di Warwick: un’esperienza di vita e di studio indimenticabile, tanto che in quell’anno ho maturato la convinzione di voler proseguire con lo studio dell’inglese all’università… cosa che continuo a fare a più di vent’anni di distanza! Dopo essermi laureato nel 1999, ho vinto una borsa di studio per frequentare un corso di specializzazione annuale a Manchester, dove sono poi rimasto fino al 2007, completando anche un dottorato di ricerca e insegnando presso le Università di Manchester e Salford. Va detto che purtroppo ho sempre avuto un rapporto piuttosto conflittuale con il tedesco, la mia altra lingua straniera principale, compensato però da una passione sfrenata per l’inglese, che per mia fortuna ho potuto coltivare con grande costanza e soddisfazione.

 In questo periodo gli studenti dell’ultimo anno delle superiori pensano alla futura iscrizione all’università. Quanto è importante secondo te frequentare realtà straniere durante il periodo degli studi, dall’Erasmus ai progetti di ricerca, fino addirittura all’iscrizione a un’università di un altro paese?

Aprirsi al confronto con realtà diverse, specialmente se internazionali, rappresenta senz’altro una grande opportunità di crescita, non soltanto accademica ma anche (forse soprattutto…) personale. Si dice che dall’Erasmus si torna cambiati in meglio, per sempre: senz’altro io ho vissuto questa trasformazione positiva sulla mia pelle, al punto che quel periodo ha inciso profondamente sulle mie successive scelte professionali e di vita; ma rivedo regolarmente, con molto piacere, lo stesso arricchimento nelle studentesse e negli studenti che si recano all’estero per un periodo di studio o che da università straniere vengono a seguire i miei corsi. La mobilità internazionale è un’occasione che consiglierei senz’altro di cogliere, a prescindere dal percorso di studi o dalle aspirazioni professionali: oggi ci sono molte possibilità alla portata di tutti, e a mio parere la frequenza di corsi universitari all’estero, anche per un periodo relativamente breve, costituisce comunque una straordinaria esperienza di crescita personale, sociale, culturale e accademica – e, perché no, anche all’insegna del divertimento – che non è possibile rimanendo confinati nella propria realtà di origine.

 Puoi spiegarci come funziona un’università per stranieri in Italia e quali peculiarità o sfide offre a un docente italiano? Esistono all’estero realtà simili di cui gli studenti italiani possono approfittare?

Ti rispondo parlando nello specifico dell’ateneo in cui lavoro dal 2015, ovvero l’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria. Come suggerito dal nome, l’università si giova di una prolungata e solida collaborazione con la prestigiosissima Società Dante Alighieri, che si occupa di promuovere la lingua e la cultura italiane nel mondo, anche per far avvicinare gli stranieri allo straordinario patrimonio di bellezza del nostro Paese. Quella di Reggio Calabria è l’unica Università per Stranieri nel Sud Italia e nelle isole, e una parte dell’impegno dell’ateneo è rivolto in questa direzione. Tuttavia, nel corso del tempo, le attività didattiche e scientifiche svolte si sono diversificate, portando a un’offerta di Corsi di Laurea triennali e magistrali molto apprezzati, che sono frequentati anche da studenti italiani: in particolare, l’Ateneo ha una riconosciuta tradizione per i Corsi di Studio indirizzati alle professioni del servizio sociale. L’università è avvolta dal magnifico scenario dello Stretto di Messina e al suo interno opera una vivace comunità accademica, ricca e variegata, con pochi equivalenti nel panorama italiano. La dimensione dell’Ateneo favorisce rapporti molto diretti tra docenti e studenti; questi ultimi possono pertanto essere seguiti al meglio nelle varie tappe del proprio percorso universitario, che si svolge in un ambiente stimolante e dinamico, di matrice spiccatamente internazionale, secondo la vocazione esplicita di un’Università per Stranieri, la quale per di più si trova in un luogo che da secoli è crocevia del Mediterraneo. L’atmosfera internazionale che ho trovato nell’Ateneo mi ha ricordato fin da subito le esperienze di studio e docenza maturate all’università in Inghilterra, dove tradizionalmente si iscrivono giovani provenienti da tutto il mondo. 

Per quanto riguarda nello specifico il mio lavoro, in qualità di direttore del Centro Linguistico d’Ateneo, sono responsabile dell’organizzazione dei corsi di lingue straniere e delle relative certificazioni offerte agli studenti e proposte anche al pubblico esterno, che riguardano un ventaglio crescente di lingue, tra cui arabo, cinese, inglese, neogreco e spagnolo. Sono inoltre coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Interpretariato e Mediazione Interculturale, dove insegno lingua inglese e traduzione; come si può facilmente intuire già dal nome, questo percorso di studi biennale si alimenta del confronto tra lingue e culture diverse, e non esiste contesto migliore di un’Università per Stranieri per misurarsi in modo serio e approfondito con il tema della globalizzazione, che è sotto gli occhi di tutti, con le enormi opportunità e le incognite che presenta. Mi ritengo quindi molto fortunato nel poter insegnare l’inglese, la lingua internazionale per eccellenza, in un contesto multiculturale: di fatto, per il mio lavoro, tenere lezioni a gruppi di studenti di diverse provenienze offre molti vantaggi, perché consente di simulare in modo realistico realtà professionali corrispondenti all’effettivo mercato del lavoro per gli interpreti e i mediatori linguistico-culturali.

Spesso chi studia lingue pensa a sbocchi “pratici” per i suoi studi, come diventare traduttore o interprete; il tuo interesse per le lingue invece ti ha condotto verso importanti progetti di ricerca nell’ambito della traduttologia e della linguistica. Cosa deve piacere e che caratteristiche bisogna avere per intraprendere questo tipo di percorso? E com’è possibile informarsi e accedere a questi progetti?

Sicuramente lo studio delle lingue straniere offre un patrimonio di competenze e sviluppa capacità utilissime in qualunque percorso universitario e professionale; ne è la prova che in tutti i corsi di laurea (da giurisprudenza ad architettura, da sociologia a ingegneria) sono previsti insegnamenti ed esami di lingue straniere, segno che qualunque professionalità oggi non può prescindere dall’approfondimento di almeno una lingua, preferenzialmente europea. In particolare, chi vuole dedicarsi prioritariamente alle lingue straniere deve saper cogliere il fatto straordinario che, al di là di parole nuove da imparare, delle regole grammaticali che possono apparire dapprima ostiche e delle modalità di pronuncia inizialmente proibitive, la padronanza di una o più lingue straniere spalanca altrettanti mondi, tutti da scoprire, fatti di persone, opere letterarie, ricette di piatti tipici, dialoghi familiari, usi e costumi, siti web e blog sugli argomenti più disparati (non tutti particolarmente interessanti o degni di essere letti, ovviamente…). In un certo senso, secondo me già in questo ci sono gli ingredienti principali di curiosità, voglia di scoprire cose nuove e non scontate per uscire dai propri limiti che sono alla base dell’attività di ricerca in qualunque campo. Io ho sempre avuto la curiosità di capire i meccanismi che permettono alle lingue di funzionare, di far comunicare persone diverse, specialmente attraverso la traduzione (quando quindi le cose si complicano inevitabilmente, nel passaggio da una lingua all’altra). A questo si è poi unito, dal periodo dell’università in poi, anche grazie alle esperienze di studio internazionali, l’interesse per le applicazioni della tecnologia informatica allo studio del linguaggio e, in particolare, alla traduzione. Diverse università, sia in Italia che nel resto d’Europa, hanno progetti di ricerca, più o meno estesi e complessi, dedicati a qualche aspetto che rientra in quest’ambito molto ricco e variegato. Inoltre, l’Unione Europea pubblica regolarmente bandi per progetti di ricerca in queste aree, o per temi in cui rientrano questioni legate alle lingue e alla traduzione. Il modo migliore per aggiornarsi è cercare su Internet o iscriversi alle pagine sui social media degli enti che propongono opportunità di questo tipo, per le quali vengono via via richiesti titoli di accesso differenti.

Avendoti conosciuto alla Giornata del Traduttore, in occasione del tuo intervento sulla traduzione automatica e il post-editing, non posso non farti la stessa domanda posta ad Adrià Martín: credi che un domani la tecnologia porterà all’estinzione del traduttore umano, o ci sarà sempre speranza per chi fa questo mestiere?

Io sono una persona ottimista, quindi senz’altro propenderei per salvaguardare la speranza, senza cadere preda della rassegnazione! In particolare, faccio fatica a pensare ai traduttori come se fossero dinosauri, destinati a estinguersi… È senz’altro evidente che la traduzione automatica sta migliorando costantemente, anche a ritmi sostenuti, e che parallelamente si stanno diffondendo tecniche e approcci volti a ottenere risultati validi con i sistemi disponibili, per quanto ancora ampiamente imperfetti (come nel caso del post-editing e dell’adozione di linguaggi controllati). In virtù di questo, secondo me il ruolo del traduttore è in evoluzione (già da almeno una quindicina d’anni, per la verità), di pari passo con l’inesorabile progresso tecnologico, e continuerà a esserlo, probabilmente in modo sempre più netto e accelerato. Senza avere elementi per vaticinare un’estinzione dei traduttori (che dal mio punto di vista è contemporaneamente improbabile e indesiderabile!), prevedo che sarà necessario un costante aggiornamento e adattamento da parte loro, anche in risposta ai cambiamenti imposti dalla tecnologia. Ma, allo stesso tempo, sorgeranno molto probabilmente nuove opportunità professionali legate a capacità e funzioni di ordine superiore, come la valutazione degli effettivi vantaggi comportati dall’introduzione della traduzione automatica nel flusso di lavoro di un’azienda che offre servizi linguistici, l’effettuazione del pre-editing su testi originali da tradurre verso molteplici lingue tramite software di traduzione, la gestione di grandi progetti di traduzione in diverse lingue, con la necessità di coordinare varie risorse e modalità di traduzione, più o meno tradizionali: dai glossari alle memorie di traduzione fino ai sistemi di traduzione automatica realizzati con approcci diversi, al fine di ottimizzare l’integrazione tra le insostituibili competenze umane e il notevole potenziale offerto dalla tecnologia per aumentare la produttività e migliorare la qualità del lavoro.

FGFederico Gaspari è professore associato di lingua inglese e traduzione presso l’Università per Stranieri “Dante Alighieri” di Reggio Calabria e ricercatore postdottorale affiliato alla Dublin City University, dove collabora a progetti di ricerca europei dedicati alle tecnologie linguistiche, alla traduzione automatica e alla sua valutazione. Tra i suoi principali interessi didattici e di ricerca figurano le tecnologie della traduzione, in particolare la traduzione automatica (valutazione, suo impiego online, utilizzo da parte dei traduttori professionisti, post-editing), la linguistica dei corpora, la linguistica descrittiva e variazionista dell’inglese e la traduttologia applicata.

La fotografia di copertina è di Angela Stelli.

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2 risposte a "Studiare lingue cambia la vita? Risponde Federico Gaspari"

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