Non di sola traduzione vive il traduttore

Ammettiamolo: quando da giovincelli accarezzavamo l’idea di diventare traduttori ci immaginavamo in un giardino fiorito o in una soffitta affacciata sui tetti del centro storico, intenti a sospirare sul meraviglioso romanzo di turno, senza altra preoccupazione che andare a comprare il pane in bicicletta perché tanto il nostro conto corrente sarebbe sempre stato dignitosamente pieno… E poi ci siamo ritrovati tutti, almeno allegoricamente, nel nostro monolocale in periferia davanti a un catalogo di spazzole in Xcel, costretti a far quadrare i conti con la vita reale. Oppure, dopo anni di gavetta e con un portafoglio clienti abbastanza ampio ci siamo stufati di stare sempre soli e appiccicati al computer e la voglia di uscire fisicamente e mentalmente dal nostro mondo si è fatta pressante. Insomma,  noi traduttori facciamo fatica a fare solo i traduttori, ma perché? Nel post di oggi provo a individuare qualche motivo, e naturalmente aspetto i vostri!

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1. Perché dobbiamo

Questo è forse il motivo principale per cui noi traduttori ci dedichiamo ad altro, soprattutto all’inizio: non è facile farci conoscere, il telefono non squilla fin da subito, i tempi morti sono tanti e le bollette pure, quindi anche i più volonterosi tra noi devono scendere a qualche compromesso in attesa di dirsi traduttori a tempo pieno. L’ideale sarebbe che i lavori “collaterali” avessero a che fare quantomeno con le lingue o la scrittura, ma non sempre si può scegliere… quindi via ai traduttori animatori per bambini, pizzaioli o receptionist: un’immersione nel mondo reale che può tornarci molto utile quando ci troveremo finalmente a tradurre e basta. (Naturalmente questi esempi sono ironici e legati alla triste necessità di pagare le bollette: per una trattazione un po’ più seria di come utilizzare al meglio il tempo tra una traduzione e l’altra, in assenza di pressanti problemi economici, vi invito a leggere qui.)

2. Perché abbiamo iniziato altrove

Per alcuni tradurre è una vocazione incerta, per altri l’obiettivo al termine di una strada tortuosa, per altri ancora una meta raggiunta e amata per caso; insomma, non sempre si diventa traduttori al primo colpo, ma ci si arriva dopo un percorso più o meno eclettico. Ma anche quando approdiamo alla traduzione, spesso portiamo con noi i resti di esperienze precedenti che non ci sentiamo di abbandonare, un po’ perché ci siamo affezionati al lavoro o ai colleghi, un po’ perché è sempre meglio non chiudersi certe porte alle spalle (vedi punto 3). La nostra storia fa parte di noi e il nostro curriculum non può che ringraziare.

3. Per una scelta consapevole

Diversificare è la parola d’ordine di qualsiasi imprenditore che si rispetti, e per i traduttori lo è ancora di più. Puntare tutto sul lavoro autonomo, di questi tempi, può essere un po’ rischioso; inoltre noi traduttori in genere abbiamo una formazione piuttosto polivalente, che ci consente di spaziare anche al di fuori della traduzione: la conoscenza delle lingue ci dà accesso a vari settori legati alla formazione, sia pubblici che privati, le abilità nella scrittura ci permettono di proporci come copy writer, revisori, consulenti… Insomma le strade dei traduttori sono infinite e forse non è una cattiva idea approfittarne. L’unico effetto collaterale? Quando ci chiedono che lavoro facciamo ci tocca sempre cominciare con un “Allora…”

4. Perché non possiamo farne a meno

Ebbene sì, l’immagine più diffusa del traduttore è proprio quella di cui parlavamo all’inizio: un essere meditabondo e posato, perso nei meandri delle parole, sensibile alle minime sfumature, immerso nel proprio mondo squisitamente letterario. Ma noi traduttori sappiamo che non è così: in generale siamo creature parecchio vulcaniche, abituate a procacciarci il lavoro e molto più dinamiche di quanto ci vogliano gli stereotipi ormai datati. Stare tutto-tutto il giorno davanti a un computer tra dizionari e glossari non fa per noi: il mondo esterno ci chiama con forza e quando la circolazione di idee (e del nostro sistema linfatico) rallenta, siamo pronti a cogliere al balzo le occasioni.

E tu, fai il traduttore “e basta”? Raccontaci la tua esperienza nei commenti!

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6 risposte a "Non di sola traduzione vive il traduttore"

  1. Io ho iniziato come interprete freelance, lavoravo come interprete negli ospedali e al tribunale, troppe incertezze purtroppo, saltellavo da un ospedale all’altro continuamente e gli stessi clienti mi assegnavano anche delle traduzioni. Infine ora lavoro come traduttrice freelance ma a tempo pieno faccio la guida turistica.
    Sono curiosa di sapere che lavoro facciano gli altri traduttori a parte il tradurre, onestamente non conosco nessuno che faccia solo quello, purtroppo.

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  2. Quanta verità! Ho cominciato ad esercitare dal 2014 come traduttore tecnico, partendo dai volantini per pagarmi l’iscrizione a quei famosi siti, passando per agente assicurativo, giornalista, documentarista e infine insegnante privato di inglese. Quando ad un colloquio di lavoro mi chiesero “come ti vedi tra dieci anni?” risposi troppo sinceramente: “stanco”. Non mi presero, ma io ci presi di sicuro!
    Dimenticavo… nel tempo libero sono anche studente e… recupero crediti 😂. Se puoi darmi anche qualche consiglio sulla gestione dei cattivi pagatori te ne sarò immensamente grato 😉

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      1. Ciao! Alla fine hanno pagato, ma ci sono voluti sei-sette mesi, è stata una cosa terribile, anche perché mi sono sempre comportato in maniera seria e professionale, rispettato scadenze e tutto il resto. A fronte della serietà mi sono trovato un project manager che si fingeva morto, prometteva e procrastinava all’inverosimile. Ad un certo punto, sono riuscito a reperire il contatto Skype che usano per lavoro. Li ho chiamati all’orario dell’apertura e gli ho promesso che li avrei chiamati ogni mezz’ora tutti i giorni fino a notifica di pagamento. Sette ore dopo Paypal mi notifica un pagamento… a saperlo prima… 😂😂
        Una delle cose che mi preoccupa è che in una delle suddette chiamate, preso dalla rabbia e dalla frustrazione l’ho insultato in maniera abbastanza volgare. Mi ha risposto “che ti succede? Non avevi mai fatto così”. Avevo già deciso di interrompere la collaborazione con queste persone, ma spero che questo scivolone non influisca sulla mia vita professionale (anche perché il mio carattere è completamente diverso 😂)

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  3. Niente di più vero quanto scritto in questo articolo! Io solo dopo 15 anni, alla fatidica domanda “Che lavoro fai?” posso rispondere “La traduttrice” e basta. Poi ovviamente devo perdere almeno tre quarti d’ora per spiegare in cosa consiste il lavoro di traduttrice, ma questa è un’altra storia. Negli ultimi 15 al lavoro di traduttrice (che non ho mai smesso di svolgere perché l’obiettivo era di farlo a tempo pieno) ho affiancato l’insegnamento, quello di contabile in un negozio,quello di contabile in almeno 3 aziende, quello di organizzatrice di eventi, quello di animatrice ai centri estivi, quello di compilatrice di tesi di laurea, quello di bigliettaia al cinema… Ma la pazienza e lo sforzo hanno dato buoni frutti 😉 Ora mi godo un po’ di sano lavoro completamente autonomo a casa, senza nessuno che mi imponga degli orari (è una cosa che patisco moltissimo…)

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